Claudio Melchior: “Con la musica posso essere pienamente sincero”
Intervista di Eliseo Rainone (RainOne)
Claudio Melchior, musicista e professore universitario, ci parla del suo secondo album, Io Sono Un Gatto, recentemente pubblicato su YouTube in un unico video. Con un mix di elementi vintage e moderni, la sua musica riflette un approccio autentico e personale che continua a evolversi. In questa intervista, ci racconta le motivazioni dietro le sue scelte artistiche, le collaborazioni con musicisti di talento e le sue ambizioni per il futuro.
Hai pubblicato l’intero album Io Sono Un Gatto su YouTube in un unico video. Una scelta particolare in un’epoca dominata dai singoli. Perché?
Beh intanto ti ringrazio per il tempo che dedichi a questa intervista e per il lavoro che fai nel promuovere e pubblicizzare la mia musica. So che gli altri tuoi lavori, come organizzatore di eventi e comunicatore professionale, sono ben più importanti, però per me il tuo apporto è davvero fondamentale. Venendo a Io Sono Un Gatto, ho voluto rendere più semplice l’ascolto dell’intero album. Anche se è già disponibile su piattaforme come Spotify, trovo che l’esperienza lì sia frammentata: bisogna cercare i brani, saltare la pubblicità, e spesso si finisce per ascoltare solo i singoli suggeriti dagli algoritmi. YouTube, invece, offre un’esperienza più diretta: un clic, e l’album è lì, tendenzialmente senza interruzioni o quasi. È un modo per rispettare l’idea dell’album come un viaggio musicale, una cosa che la mia generazione apprezza ancora. Spero che questa semplicità aiuti più persone a scoprire e godere del lavoro nel suo insieme.
YouTube è il tuo canale principale, mentre Spotify sembra avere meno impatto nel diffondere la tua musica. Perché?
Probabilmente non sono bravo a sfruttare i meccanismi che ti portano nelle playlist giuste. Su Spotify, gli ascolti arrivano soprattutto dalle playlist gestite dagli algoritmi, e la mia musica ha uno stile particolare, tutto suo. Non è facile da inscatolare: non è pienamente pop, non è musica d’ambiente, non è rock e neanche del tutto cantautorato. È una cosa mia. Questo a me piace moltissimo, ma agli algoritmi piace meno… Detto questo, con i brani nuovi in uscita nel 2025 ci proveremo con più attenzione. Voglio cercare di raggiungere un pubblico più ampio anche su Spotify.
Il video dell’album mescola il fascino nostalgico del giradischi con effetti moderni. Come sei arrivato a questa scelta estetica?
Beh, come dico spesso, io sono “anticamente nuovo”! Inizialmente volevo usare i jukebox: ho fatto delle riprese dal vivo, cercandoli in giro per il territorio, ma mi sono reso conto che avevano poca dinamica visiva per un video così lungo. Così sono tornato al giradischi, un vecchio amore, e ne ho acquistato uno ad hoc, a bauletto, per le riprese. Con Claudio Cescutti, abbiamo girato scene belle e curate, ma forse troppo posate per quello che volevo. Cercavo qualcosa di più dinamico e colorato, così ho sperimentato con neon e scritte per dare energia al video. È stato un lavoro lungo, con mesi di prove e tentativi (e anche un po’ di “violenza” di coloring ed effetti sulla fotografia di Claudio), ma alla fine, dopo un bel po’ di lotte con i codec di YouTube, sono soddisfatto del risultato.
Hai più di cinquant’anni, un’età in cui molti potrebbero pensare che fare musica pop sia una sfida riservata ai più giovani. Ti senti mai “fuori standard” o, al contrario, credi che l’età sia un valore aggiunto per la tua musica?
Mi sento sempre fuori standard! Ma non penso che l’età sia un valore aggiunto per la mia musica: è la musica che aggiunge valore alla mia vita. Comporre, registrare e cantare mi fa sentire vivo, mi aiuta a evitare la noia e mi permette di esprimermi in modo sincero. La musica è uno spazio in cui posso dire ciò che penso, senza filtri. Nelle canzoni cerco sempre di comunicare qualcosa, sia che si tratti di ironia o di riflessioni più profonde. Questo è il vero valore che la musica ha per me.
Hai accennato a un cambio di direzione musicale verso uno stile più rock e organico. Da cosa nasce questa scelta?
È un ritorno alle origini. Ho iniziato tanti anni fa con chitarre e batterie, e sento il bisogno di riscoprire quella strada. Gli strumenti veri mi sembrano più sinceri rispetto ai synth, e credo che si adattino meglio al tipo di contenuto che voglio creare ora. Inoltre, ho la fortuna di collaborare con musicisti di grande talento come Matteo Dainese, Michele Pirona, Luca Franzolini, Mirko Cisilino e altri. Sarebbe un peccato non sfruttare la loro bravura per registrare brani con un valore artistico ancora più elevato. Questo cambiamento è anche un modo per rinnovarmi dopo i primi due album.
Hai parlato dei musicisti. Come sono nate le collaborazioni con i musicisti che hanno partecipato all’album?
Sono collaborazioni che nascono in modo naturale, spesso da amicizie, oppure che diventano amicizie dopo aver collaborato. Matteo è stato fondamentale in tutti i pezzi dei primi due album, ma ora sto cercando di ampliare lo spazio per altri musicisti come Luca e Michele, chiedendo loro arrangiamenti che riflettano la loro sensibilità musicale. Questa sinergia non solo arricchisce le canzoni, ma rende tutto il processo creativo più interessante, stimolante, divertente ed efficace.
Sei musicista, professore universitario e hai un passato da radiofonico e creativo pubblicitario. Come si influenzano queste esperienze?
Il lavoro da creativo pubblicitario, disperso nel caos della Milano di fine anni ’90, è stato una parentesi interessante, ma lontana. Idem per le radio (che ho amato tanto e amo ancora). Oggi sono professore associato di sociologia dei processi culturali e comunicativi, e questa attività si intreccia bene con la musica. Fare musica, produrla e cercare di promuoverla mi aiuta a capire meglio i meccanismi della comunicazione e le dinamiche culturali, e queste conoscenze arricchiscono anche ciò che insegno ai miei studenti. Allo stesso tempo, il mio lavoro da sociologo mi stimola a riflettere in profondità sul mondo che ci circonda e sulla vita, e questo si riflette nelle mie canzoni. Sai qual è la principale differenza che sento io tra queste due attività così diverse? Che con la musica posso essere pienamente sincero e parlare direttamente dal cuore, senza censure (o quasi)…
“Schivare la pioggia” è stato reinterpretato in una versione acustica con Michele Pirona. Qual è stata l’idea dietro questa versione e cosa volevi mettere in evidenza rispetto all’originale?
È stata l’ultima produzione del secondo album, ed è nata dal desiderio di anticipare la svolta musicale più organica dei miei futuri lavori. L’idea è venuta da alcune esibizioni live con Michele Pirona. Abbiamo deciso di partire dalle sue chitarre acustiche, e il risultato è stato intimo e personale. Molte persone che già amavano la versione elettronica mi hanno detto di apprezzare ancora di più quella acustica. È stato, nel nostro piccolo, un bel successo.
Eliseo Rainone (RainOne)